Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Quando incontriamo nei testi
biblici, in particolare nei vangeli, il termine ‘Giudei’ non si riferisce mai al popolo
ebraico, ma si riferisce sempre esclusivamente ai dirigenti di questo popolo,
cioè ai sommi sacerdoti, agli scribi e ai farisei. In Giovanni questo termine
indica queste tre categorie di persone ancora in modo più specifico. Quindi il
dibattito è con loro. Il capitolo sesto di Giovanni non presenta la cena
eucaristica, ma fa comprendere la verità di quanto il Signore ci ha lasciato.
La cultura greca era ormai
molto forte anche all’interno delle comunità giudaiche e l’espressione ‘mangiare la mia carne’ era inaccettabile,
anche perché il verbo 'mangiare' era espresso come un masticare la carne. Ma il
Signore non si fa turbare da questa loro ostinazione e rincara la dose parlando
anche del sangue del Figlio dell’uomo.
Il bere il sangue, già nella legge di Mosè, era una cosa proibita, ripugnante;
non poteva stare neanche nel pensiero di un giudeo osservante. Eppure Gesù dice:
pane e sangue. Perché? Perché mentre il pane simboleggia la vita ed io lo
assumo e divento ‘pane’ per i fratelli, il sangue rappresenta la morte di
Gesù. Quindi il cristiano è chiamato proprio ad assumere la passione e la
morte di Gesù e diventare egli stesso un segno di un Dio che dà la vita per
quelli che ama. Il pane e il sangue, essendo
elementi vitali, diventano le realtà scelte da Gesù per indicare la vita che
fiorisce, che è donata (pane) e la vita che è
offerta (sangue) per gli uomini e per rimanere con gli uomini. Il cristiano si
contraddistingue perché è capace di oblatività nei confronti dei fratelli. La
oblazione è un elemento molto importante per me, per noi consacrati: non viviamo
per noi stessi. La vita religiosa o il ministero al servizio se non diventa una
vita ‘oblata’, offerta, è una vita che rimane in sé e muore, secca, manca di
radici, non sussiste.
In Giovanni spesso è rimarcato
il ‘rimanere in me’, lo sperimentare una
intimità con Gesù, il vivere in una conoscenza molto intima con Lui,
esistenziale e unitiva.
Chi mangia questo
pane vivrà in eterno C’è una teologia molto
profonda che in Giovanni viene proposta: ‘i vivi non muoiono’ e ‘i
morti non risorgono’, (tu sei morto e poi risorgi)… no; muore il ‘bios’, il
biologico. Vale a dire che c’è una continuità di vita che non si interrompe mai.
Se uno vive in offerta di se stesso, in oblazione, se uno mette il bene
dell’altro al centro della sua vita non farà mai l’esperienza della morte perché
è collocato nella vita interiore, nella Vita che non muore, nella vita di Dio.
Chi si accosta a Gesù in questo modo esperienziale e mette il bene dell’altro a
sfondo della sua vita non farà mai l’esperienza della morte interiore, che ci
separa dal massimo Bene che è Gesù.
Ci dia il Signore questo
desiderio: che la vita sia una vocazione che si attualizza in oblazione, in una
vita donata, in una vita offerta. Come il seme che si trasforma e genera
vita.
Cari saluti. Sr.
Ivana
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